La convivenza di democrazia e schiavitù
Secondo l'Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), i profitti annuali della nuova schiavitù si aggirano intorno ai 31 miliardi di dollari. L'esplosione demografica e le grandi migrazioni, insieme alla globalizzazione, hanno aumentato il mercato degli schiavi. Dalle piantagioni di cacao dell'Africa occidentale ai frutteti della California, gli schiavi sono diventati parte integrante del capitalismo globale.
E questo è il paradosso. La democrazia e la schiavitù non solo coesistono, ma tra loro c'è quella che gli economisti definiscono una forte correlazione diretta. Non solo i due fenomeni mostrano tendenze di sviluppo assolutamente simili, ma l'evoluzione dell'uno condiziona quella dell'altro. E gli anni novanta confermano quella tendenza apparentemente surreale che si era già manifestata negli anni cinquanta durante il processo di decolonizzazione. Secondo Bates, quando gli stati coloniali conquistarono l'indipendenza, il numero degli schiavi aumentò mentre il loro prezzo si abbassò. Oggi il prezzo di uno schiavo è circa un decimo di quello praticato nella Roma antica, quando il concetto di democrazia era inesistente.
Smarriti nel supermercato
La quasi totalità dei prodotti che consumiamo ha una storia nascosta e oscura. Una storia di schiavitù e pirateria, contraffazione e frode, furto e riciclaggio di denaro. Sappiamo molto poco di queste trame segrete dell'economia mondiale, perché i consumatori moderni vivono all'interno di una complicata rete di illusioni commerciali, la realtà virtuale del mercato. Come nel film Matrix siamo vittime di una beata ignoranza. Gli scaffali dei supermercati occidentali sono pieni di articoli fabbricati dagli abitanti dei paesi in via di sviluppo, lavoratori sfruttati che ricevono una frazione infinitesimale del prezzo finale di ogni prodotto. Se noi consumatori decidessimo di fermarci a riflettere, resteremmo sconvolti nello scoprire chi si arricchisce grazie alla nostra spesa quotidiana. Le banane sono il prodotto più redditizio venduto nei supermercati britannici. I loro enormi ricavi vengono divisi così: quasi la metà va al supermercato (il 45 per cento), il 18 per cento agli importatori, il 15,5 per cento alla ditta proprietaria della piantagione e solo il 2,5 per cento ai braccianti. Dal 2002 i supermercati britannici sono al centro di una violenta guerra delle banane che punta a ridurre drasticamente i prezzi al consumo per conquistare una fetta di mercato più ampia. I principali protagonisti di questo scontro sono le due catene Asda e Tesco. Tra il 2002 e il 2004 i prezzi al chilo sono passati da 1,08 sterline a 74 centesimi. I consumatori sono contenti, ma non sanno che il loro risparmio non incide sulla percentuale di profitto intascata dai supermercati, perché ricade interamente sui lavoratori. Secondo Action aid, la guerra delle banane ha più che dimezzato la paga oraria dei dipendenti delle piantagioni del Costa Rica, dove si produce un quarto delle banane consumate in Gran Bretagna e in Irlanda.
continua